La Campari è un progetto tipicamente europeo. La pensa così Mario Botta che con Giancarlo Marzorati, l’architetto che a Sesto ha costruito se non tutto quasi, ha lavorato alla sede della Campari. “Dove priva giaceva la vecchia fabbrica della Campari che era ormai obsoleta – spiega il progettista ticinese – è stato ridisegnato un intero isolato che comprende la vecchia fabbrica di cui è rimasta la vecchia testata principale, ora trasformata in museo per la Campari, e una grande piazza coperta, che potrà essere utilizzata come spazio polivalente. Sui margini invece è stata pensata l’edificazione di alloggi privati. La cosa interessante è che restano ancora mq 4.000 di parco pubblico oltre ai parcheggi sotterranei. È quindi un disegno interessante perché tutto l’isolato, con una lunga storia, assume ora una nuova ricucitura urbana. Diventa un segnale di grande forza, come i vecchi uffici che diventano i nuovi uffici della Campari”. Il progetto per l’area Campari a Sesto San Giovanni prevede un nuovo sviluppo terziario e residenziale e il conseguente riordino di questa zona periferica dove lo sviluppo caotico dei grandi centri ha messo a confronto le industrie del primo Novecento con le parti cresciute negli ultimi anni. La riqualificazione avviene mediante una densa edificazione che prevede un complesso per uffici sui fronti di viale Gramsci e via Sacchetti e di residenze su via Campari, in maniera tale da liberare il resto dell’area che diverrà un grande parco per la città di Sesto. “In società urbane come quella di Sesto, attraversate dalla globalizzazione e alla dismissione industriale di fine secolo scorso – ha spiegato Mario Botta – la ricerca della propria identità passa inevitabilmente attraverso il senso di appartenenza al proprio territorio, di riconoscimento del proprio passato. C’è la necessità nell’uomo di trovare la propria storia, il proprio essere, e il compito dell’architetto è quello di ricostruire la memoria e di partecipare alla ricerca della bellezza, che impone una ricerca di condivisione, di sperimentazione dello spazio, anche di quello che non si vive ma si attraversa, che non si utilizza ma custodisce valori profondi dell’immaginario collettivo. Abbiamo lavorato così per la città parlando il linguaggio della cultura della storia. A Sesto era importante conservare traccia dell’antica fabbrica e restituirle monumentalità, perché un’architettura non manifesta il proprio valore espressivo attraverso le funzioni che soddisfa o il codice estetico a cui si riferisce, ma attraverso le relazioni spaziali ed emotive che riesce a stabilire col proprio contesto”. L’edificio della nuova sede Campari, inaugurato a giugno 2009 ma ancora in via di realizzazione nelle adiacenti torri che ospiteranno le residenze private, è imponente e articolato su due corpi di fabbrica principali incernierati tra loro. L’uno, denominato semplicemente “torre”, ha 9 piani fuori terra e due piani interrati, mentre l’altro ha la conformazione di un ponte e ha due soli piani, il quarto e il quinto, oltre ai due interrati. Questi due edifici sono completati da due ulteriori porzioni, la prima costituita da un antico edificio industriale dell’inizio del secolo scorso che ospitava la vecchia fabbrica Campari e la seconda denominata lobby: una grande piazza caratterizzata da una copertura curvilinea che degrada verso uno specchio d’acqua e realizzata in legno lamellare con una copertura vegetale. La sapiente mescolanza dei materiali che caratterizza l’edificio rivela una grande creatività soprattutto per l’utilizzo di materiali molto tradizionali in modo innovativo (ad esempio la seconda facciata in cotto che caratterizza tutto l’insieme costituendo però anche un elemento funzionale). La scelta è stata molto rigorosa in quanto si è preferito introdurre un numero limitato di materiali per ottenere un risultato omogeneo. “Per la facciata abbiamo scelto il rivestimento con tavelle di cotto orientate a 45 gradi e a volte usate in modo piatto, come frangisole. Questo rivestimento in cotto crea una nuova superficie-immagine verso la città”, spiega Botta. Nell’edificio si mescolano con grande armonia il vetro delle facciate e delle pareti mobili, il cotto toscano del brise soleil, il granito bianco utilizzato per pavimentare gli spazi comuni (reception, lobby, scale e vani ascensori fino al piano terreno), il gres porcellanato grigio antracite per gli uffici ed il legno del controsoffitto e delle boiserie che ricoprono i corpi interni dove si trovano i vani scala degli ascensori ed i locali tecnici. “Tutta l’opera – conclude Botta – è stata pensata per essere goduta ai vari livelli dei piani di vita, offrendo suggestivi scorci da ogni angolo dell’edificio. La cultura architettonica ha come fine quello di organizzare lo spazio di vita dell’uomo e attraverso questo strumento dargli un po’ di gioia di vivere in più. Siamo ancora vincolati al modernismo con la forma che deriva dalla funzione ma in realtà la forma, la bellezza prescinde dalla funzione che vi alloggia. L’obiettivo vero è stato dunque la ricerca della bellezza, che richiede momenti di conoscenza, di condivisione, di sperimentazione dello spazio, cosa differente dall’architettura preda del consumo mediatico, elemento di speculazione, di appagamento, di consenso diffuso negli ultimi anni”.